lunedì 19 luglio 2010

Facebook: "per un amico in più..." - Manifesto #6

"Su Facebook si parla, si straparla, ma non si comunica niente di più del vuoto assoluto"

Facebook è un'esperienza frenetica, caotica, di immersione superficiale nel flusso comunicazionale, di sospensione dell'incredulità...

Ma come la mettiamo con le "amicizie"?
Sono amici "veri" quelli di Facebook?
La comunicazione e le relazioni su Facebook sono davvero vuote?
Facebook è l'ultimo avamposto della disumanizzazione dei media?


Primo nodo da sbrogliare: l'equivoco delle "amicizie".
Se voi aveste dovuto scegliere la label da assegnare alla lista dei contatti, avreste scelto una parola diversa? "Contatti"? "Conoscenti"? Troppo freddo. Troppo anonimo. "Amici" è la scelta più naturale, anche perché nella vita quotidiana usiamo la parola "amico" con grande elasticità.

Nessuno scandalo dunque: un "amico" di Facebook non è qualcosa come "il mio miglior amico", ma qualcosa come "c'è un mio amico che abita a Torino e sento ogni tanto".

Partendo dal presupposto che io non abiti a Torino, ovviamente...


Horror vacui - versione 2.0.
Altro equivoco dal mio punto di vista è quello della "comunicazione vuota". Parlo di equivoco perché non esiste qualcosa come una "comunicazione vuota". E' una sentenza che mi sa molto di pregiudizio intellettuale. Suona più o meno come: quel che dici ha valore in funzione del suo contenuto in termini di Cultura e Intelligenza.

Se c'è scambio, qualcosa si è scambiato, e da qui non si scappa
Rassegnamoci e proviamo a capire cosa ci si scambia su Facebook.

Non stiamo a scomodare Jakobson.
Comunicare ha tante funzioni. Se Facebook funziona, a qualcosa serve per forza.

Intanto è molto forte l'elemento metacomunicativo: non si dice una cosa per ciò che significa, ma per ciò che significa averla detta. Una citazione da una canzone di Ligabue può voler dire "ieri sono stato al concerto del Liga, e sono ancora su di giri".

Elemento connesso è quello di costruzione dell'identità. Facebook impatta su questo fattore almeno a tre livelli: costruzione del sé, senso di appartenenza, riconoscimento sociale. Postando, citando, linkando, collezionando video e gruppi di interesse costruiamo un'immagine di cosa siamo e di cosa vorremmo essere. E cambiamo nel momento stesso in cui riflettiamo su di noi e prendiamo delle decisioni. Allo stesso tempo ri-condividendo qualcosa vogliamo sentirci parte di un gruppo, vogliamo appartenere a una comunità e sentirci valorizzati da questa appartenenza. Diventa quindi fondamentale, dopo il nostro tentativo di affiliazione, ricevere tutti i feedback di conferma possibili dagli altri membri del gruppo.

Niente di più facile grazie al pulsante "mi piace".
Sarà un caso che per il pulsante "non mi piace" non esista nella versione ufficiale di Facebook?
(mentre nel rimaneggiamento SocialPlus è una delle funzioni principali)


Trasumanar e socializzar.
In questa prospettiva la nostra piattaforma sociale è tutt'altro che un medium disumanizzante. In realtà Facebook fonda il suo successo sulla capacità di rispondere ad alcuni bisogni fondamentali dell'uomo: affermazione di sé, appartenenza e riconoscimento sociale, ...


Insomma, ogni strumento per sua natura si presta a soddisfare alcuni bisogni meglio che altri.
Andare a cercare cultura, dibattito, intelligenza, riflessione e profondità in Facebook è un bell'errore tattico.

Come cercare un ago in un pagliaio.
Quello che cerchi non c'è, e se anche ci fosse vallo a trovare!

domenica 18 luglio 2010

Media e Società: l'uovo o la gallina? - Manifesto #5

Marco Travaglio e l'Italia di oggi

Ecco una buona occasione per affrontare un tema dei più classici: tra media e società, cosa influenza cosa?

Voti centrodestra perché guardi il TG4, o guardi il TG4 perché voti centrodestra?
E' evidente, se mettiamo da parte i sociologismi e i tecnologismi, che le variabili che rientrano in questi due campi si influenzano a vicenda. Quando due variabili sembrano incidere reciprocamente l'una sull'altra spesso significa che si è tralasciato qualcosa...

Ci siamo scordati l'uomo nel mezzo.
A votare o a guardare il TG è una persona. Cominciamo a considerare una terza categoria, oltre ai media e alla società: l'user experience. Tanto il consumo mediatico quanto il voto sono azioni compiute da qualcuno, per un qualche motivo e in un dato contesto.

Potremmo ristrutturare il problema partendo da come effettivamente vanno le cose, invece che da categorizzazioni poco predittive:
  1. una forza è prodotta, accumulata, liberata e finisce per esprimersi attraverso l'azione
  2. l'azione espressa è alterata da altre forze in campo
  3. l'azione produce degli effetti
Il primo punto riguarda l'intenzione, i meccanismi psicologici a monte dell'azione.
Il secondo punto riguarda i vincoli (interni ed esterni) coi quali l'azione si confronta in fase d'esecuzione.
Il terzo punto riguarda i cambiamenti prodotti sul soggetto, sull'eventuale oggetto e sul contesto.

Potremmo parlare di cause, vincoli ed effetti.
Se osserviamo un comportamento da vicino ci rendiamo subito conto di come variabili dei tre campi (media, società e user experience) possono appartenere ai vettori psicobiografici, ai vincoli e agli effetti.

Insomma abbiamo costruito un altro circolo (vizioso o meno)?
Non proprio. Se ragioniamo in funzione di vettori, vincoli ed effetti possiamo mettere da parte una rappresentazione del problema basata su categorie idealtipiche, e azzardare qualche risposta.

Perché un soggetto decide di mettere in atto determinati comportamenti?
Come si svolge il processo decisionale? Cosa lo influenza dal punto di vista delle motivazioni e delle modalità?
E' possibile intervenire dall'esterno? Con quale efficacia?
Quali sono gli effetti di un'azione? In che modo le variabili interagiscono tra loro, a monte e a valle del processo?