lunedì 27 dicembre 2010

Got to be real! - Manifesto #12

Vi invito ad alzare il volume e a far partire la colonna sonora di questo Manifesto: Got to Be Real - Cheryl Lynn



Non preoccupatevi: l'argomento del giorno non è il revival anni '70...

Stavo solo riflettendo su un video nel quale mi sono imbattuto in questi giorni, e che mi ha letteralmente tenuto incollato allo schermo. Forse il video più emozionante che mi sia capitato di vedere online...

Un buon titolo potrebbe essere "The Blackness Beyond Our Earth", e vi consiglio di guardarlo a tutto schermo.

Homemade Spacecraft from Luke Geissbuhler on Vimeo.


Prima di tutto la cosa più importante: l'emozione. Emozione che nasce dall'incontro tra il sogno più antico - quello di volare - e la più umana delle ambizioni - posare il proprio sguardo al di là del cielo.

Dopo essermi goduto lo spettacolo in questi casi il mio primo pensiero è sempre "ma sarà vero?". La panzana in rete è sempre in agguato...

Ma questa volta il mio primo pensiero strutturato è stato:
"è vero? è una bufala? ... ma chissenefrega! quello che ho provato è vero già più che abbastanza".

Morale: le emozioni sono vere.

venerdì 19 novembre 2010

Chi ha incastrato Roger Rabbit? - Manifesto #11



Dal 15 al 20 novembre cambia la foto del tuo profilo di Facebook con quella di un eroe dei cartoni animati della tua infanzia e invita i tuoi amicia fare lo stesso... lo scopo? Per una settimana non vedremo una sola faccia "vera" su Facebook ma un'invasione di ricordi d'infanzia...


Avevo subodorato qualcosa...
Da qualche giorno una buona metà dei miei contatti su Facebook hanno cambiato la loro foto del profilo con quella di un cartone animato.

Prima domanda: perché farlo?

Seconda domanda: cosa rende l'iniziativa interessante?

Terza domanda: ... che foto scelgo? :D

mercoledì 10 novembre 2010

Il protagonista sei tu (ma noi siamo tutto il resto): il prodotto diventa set narrativo - Manifesto #10

Aspetta un attimo... perché un'azienda di design mi regala un set le mie riprese?

Redesign Life - il Set

Storia di un dramma esistenziale...

Sono un'azienda.
Sono io che produco. Sono io che parlo, e i consumatori devono stare a sentirmi. Le cose sono sempre andate così, e così devono continuare ad andare.

Ma un giorno le cose cambiano, i consumatori dicono e fanno un po' quello che gli pare - e quello che dicono o fanno non c'entra niente con quello che dico e faccio io.

Se nell'esperienza di consumo il protagonista è il consumatore, a me azienda che parte spetta? Quella dell'aiutante? Della spalla? Devo fare da comparsa?

Aspetta che ho un'idea... Non posso dire al consumatore cosa deve fare, e la comparsa non se la ricorda nessuno. Cosa ci ricordiamo subito di una storia oltre al protagonista e all'azione? Cosa influisce e determina l'azione, pur senza agire in prima persona?

Il set!

La scena - il setting narrativo dell'azione - devo essere IO.

Non ho bisogno di imporre niente a nessuno: mi basta essere lì, offrirmi (meglio: regalarmi), e tutte le mie scelte, i miei messaggi, le mie decisioni, ... tutto ciò che voglio sarà evidente e necessario come girare il polso per svitare un tappo!

giovedì 21 ottobre 2010

Secondo Convegno Nazionale sulla Narrazione d'Impresa

Qualcosa sta per succedere.

I paradigmi del passato si sgretolano, quelli di ieri (per non dire dell'altro ieri) arrancano e quelli di oggi già tentennano.

Ci procuriamo schemi interpretativi come si compra una libreria all'Ikea: usciamo, compriamo, apriamo la confezione, prendiamo le istruzioni, le mettiamo da parte e rimontiamo sul momento sperando che alla fine non ci resti in mano la brugola portante Tikkaps e che il povero Mammut di E. A. Poe che ci siamo appena comprati in saldo non debba prepararsi a un faccia a faccia col pavimento (che probabilmente finirebbe per avere la meglio).

In tutto questo ognuno di noi (uomini, donne, professionisti, ... ma anche imprese, enti e istituzioni) vuole ancora dire la sua, senza che il resto del mondo smonti la nostra identità in particelle di senso subatomiche stravolgendoci la vita.

Allora che si fa?


Cercheremo di capirlo lunedì, nell'Aula Magna dell'università di Pavia dalle 10.00 alle 18.00.
Con una pausa nel mezzo, perché con tutto questo smonta e rimonta di sicuro ci verrà fame...

http://www-storytellinglab.org/
http://www.storytellinglab.org/OS/eventi/narrare-il-consumo.html

martedì 12 ottobre 2010

Raccontare, emozionare, coinvolgere - Manifesto #9



Il video raggiunge i 2:58 e io sono completamente perso.
O preso, se preferite...

E' il miracolo di una bella storia. Quello che, chiuso il libro, ti fa venire voglia di prendere, alzarti e fare qualcosa. Condividere la mia esperienza con qualcuno, per esempio. O trovare un modo per portare l'emozione di questo racconto fuori dal margine dello schermo, portarla nel mio mondo.

Non ho ancora voglia di capire cosa ci sia dietro al miracolo.

Vivere una bella storia è come amare: i perché sono superflui.

Allora mi godo un altro po' d'emozione e lascio a voi il resto...
... per qualche tempo.

venerdì 1 ottobre 2010

"Ehi, sono qui!", geolocalizzazione e social network - Manifesto #8

Il paradigma della presenza personale si prepara a un nuovo salto. "Essere online" sarà un requisito cruciale per la nostra raggiungibilità nel mondo materiale, e non più solo nel mondo virtuale.

Essere su Facebook, come essere raggiungibile.


E' stata con ogni probabilità la prima motivazione che la maggior parte di noi ha avuto per iscriversi a Facebook. Prima ancora che una piattaforma di condivisione dei contenuti (gli utenti attivi in questo senso sono probabilmente una stretta minoranza), Facebook si è affermato come aggregatore di relazioni. Attraverso Facebook possiamo gestire rapporti a più livelli (dal vago conoscente all'amico più stretto, dal collega al familiare) in modo efficace. Siamo in grado di tenere attiva una rete sociale più ampia che in passato, facilitando i rapporti con i nodi periferici.

Il nostro compagno di classe del liceo non è più un personaggio del passato: in qualunque momento possiamo contattarlo e riattivare il nostro rapporto. Il contatto avviene sul web, ma in qualunque momento può essere tradotto nel mondo materiale.

Sui social network il web diventa relation-oriented. Il contenuto perde importanza come oggetto indipendente e ne acquista come veicolo di significato - ovvero valore di condivisione.

La geolocalizzazione: un passo avanti nell'integrazione tra web e vita sociale.


Cosa succede quando cominciamo a segnalare la nostra presenza fisica nel mondo materiale attraverso il mondo virtuale? Come cambierà il nostro "esserci" quando la connettività mobile entrerà nel quotidiano? Che ruolo avrà la geolocalizzabilità nell'interazione con gli altri?

sabato 4 settembre 2010

Che cos'è un sito web? - Manifesto#7

Il punto di partenza è l'interessante riflessione di Andreas Voigt: Un sito web non è un oggetto - Innovando

Sintetizzando e semplificando Andreas pone l'accento sulla natura non-oggettuale del sito web, definendo il sito come luogo (possibilmente attraente) in cui delle persone interagiscono con oggetti customizzati.

Ma cosa rende questo luogo - il sito - attraente per i visitatori?
Le funzioni che gli oggetti customizzati assolvono?

La progettazione prevede certamente la scelta degli oggetti con i quali il visitatore andrà ad interagire. Ma quale sarà il criterio di scelta? Che cosa darà un senso alla raccolta di oggetti e al luogo che li dovrà ospitare?

Ciò che progettiamo quando realizziamo un sito web (o un qualsiasi altro atto-prodotto comunicativo) è un'esperienza. La chiave per coinvolgere le persone, rendere il nostro sito attraente e raggiungere gli scopi che sono alla base del nostro atto comunicativo è pensare a come costruire assieme al visitatore un'esperienza significativa.

Perché l'esperienza è un racconto, e il racconto è una sequenza che costruisce e assegna un senso a immagini, parole, odori, sentimenti, ... In una parola a ciò che viviamo.
Il senso è la colonna portante: tolto quello il resto non sta in piedi.

Che cos'è allora un sito web?

Un sito web è un'esperienza nella quale delle persone interagiscono, tra loro e con degli oggetti, allo scopo di costruire senso.

Vi torna?

lunedì 19 luglio 2010

Facebook: "per un amico in più..." - Manifesto #6

"Su Facebook si parla, si straparla, ma non si comunica niente di più del vuoto assoluto"

Facebook è un'esperienza frenetica, caotica, di immersione superficiale nel flusso comunicazionale, di sospensione dell'incredulità...

Ma come la mettiamo con le "amicizie"?
Sono amici "veri" quelli di Facebook?
La comunicazione e le relazioni su Facebook sono davvero vuote?
Facebook è l'ultimo avamposto della disumanizzazione dei media?


Primo nodo da sbrogliare: l'equivoco delle "amicizie".
Se voi aveste dovuto scegliere la label da assegnare alla lista dei contatti, avreste scelto una parola diversa? "Contatti"? "Conoscenti"? Troppo freddo. Troppo anonimo. "Amici" è la scelta più naturale, anche perché nella vita quotidiana usiamo la parola "amico" con grande elasticità.

Nessuno scandalo dunque: un "amico" di Facebook non è qualcosa come "il mio miglior amico", ma qualcosa come "c'è un mio amico che abita a Torino e sento ogni tanto".

Partendo dal presupposto che io non abiti a Torino, ovviamente...


Horror vacui - versione 2.0.
Altro equivoco dal mio punto di vista è quello della "comunicazione vuota". Parlo di equivoco perché non esiste qualcosa come una "comunicazione vuota". E' una sentenza che mi sa molto di pregiudizio intellettuale. Suona più o meno come: quel che dici ha valore in funzione del suo contenuto in termini di Cultura e Intelligenza.

Se c'è scambio, qualcosa si è scambiato, e da qui non si scappa
Rassegnamoci e proviamo a capire cosa ci si scambia su Facebook.

Non stiamo a scomodare Jakobson.
Comunicare ha tante funzioni. Se Facebook funziona, a qualcosa serve per forza.

Intanto è molto forte l'elemento metacomunicativo: non si dice una cosa per ciò che significa, ma per ciò che significa averla detta. Una citazione da una canzone di Ligabue può voler dire "ieri sono stato al concerto del Liga, e sono ancora su di giri".

Elemento connesso è quello di costruzione dell'identità. Facebook impatta su questo fattore almeno a tre livelli: costruzione del sé, senso di appartenenza, riconoscimento sociale. Postando, citando, linkando, collezionando video e gruppi di interesse costruiamo un'immagine di cosa siamo e di cosa vorremmo essere. E cambiamo nel momento stesso in cui riflettiamo su di noi e prendiamo delle decisioni. Allo stesso tempo ri-condividendo qualcosa vogliamo sentirci parte di un gruppo, vogliamo appartenere a una comunità e sentirci valorizzati da questa appartenenza. Diventa quindi fondamentale, dopo il nostro tentativo di affiliazione, ricevere tutti i feedback di conferma possibili dagli altri membri del gruppo.

Niente di più facile grazie al pulsante "mi piace".
Sarà un caso che per il pulsante "non mi piace" non esista nella versione ufficiale di Facebook?
(mentre nel rimaneggiamento SocialPlus è una delle funzioni principali)


Trasumanar e socializzar.
In questa prospettiva la nostra piattaforma sociale è tutt'altro che un medium disumanizzante. In realtà Facebook fonda il suo successo sulla capacità di rispondere ad alcuni bisogni fondamentali dell'uomo: affermazione di sé, appartenenza e riconoscimento sociale, ...


Insomma, ogni strumento per sua natura si presta a soddisfare alcuni bisogni meglio che altri.
Andare a cercare cultura, dibattito, intelligenza, riflessione e profondità in Facebook è un bell'errore tattico.

Come cercare un ago in un pagliaio.
Quello che cerchi non c'è, e se anche ci fosse vallo a trovare!

domenica 18 luglio 2010

Media e Società: l'uovo o la gallina? - Manifesto #5

Marco Travaglio e l'Italia di oggi

Ecco una buona occasione per affrontare un tema dei più classici: tra media e società, cosa influenza cosa?

Voti centrodestra perché guardi il TG4, o guardi il TG4 perché voti centrodestra?
E' evidente, se mettiamo da parte i sociologismi e i tecnologismi, che le variabili che rientrano in questi due campi si influenzano a vicenda. Quando due variabili sembrano incidere reciprocamente l'una sull'altra spesso significa che si è tralasciato qualcosa...

Ci siamo scordati l'uomo nel mezzo.
A votare o a guardare il TG è una persona. Cominciamo a considerare una terza categoria, oltre ai media e alla società: l'user experience. Tanto il consumo mediatico quanto il voto sono azioni compiute da qualcuno, per un qualche motivo e in un dato contesto.

Potremmo ristrutturare il problema partendo da come effettivamente vanno le cose, invece che da categorizzazioni poco predittive:
  1. una forza è prodotta, accumulata, liberata e finisce per esprimersi attraverso l'azione
  2. l'azione espressa è alterata da altre forze in campo
  3. l'azione produce degli effetti
Il primo punto riguarda l'intenzione, i meccanismi psicologici a monte dell'azione.
Il secondo punto riguarda i vincoli (interni ed esterni) coi quali l'azione si confronta in fase d'esecuzione.
Il terzo punto riguarda i cambiamenti prodotti sul soggetto, sull'eventuale oggetto e sul contesto.

Potremmo parlare di cause, vincoli ed effetti.
Se osserviamo un comportamento da vicino ci rendiamo subito conto di come variabili dei tre campi (media, società e user experience) possono appartenere ai vettori psicobiografici, ai vincoli e agli effetti.

Insomma abbiamo costruito un altro circolo (vizioso o meno)?
Non proprio. Se ragioniamo in funzione di vettori, vincoli ed effetti possiamo mettere da parte una rappresentazione del problema basata su categorie idealtipiche, e azzardare qualche risposta.

Perché un soggetto decide di mettere in atto determinati comportamenti?
Come si svolge il processo decisionale? Cosa lo influenza dal punto di vista delle motivazioni e delle modalità?
E' possibile intervenire dall'esterno? Con quale efficacia?
Quali sono gli effetti di un'azione? In che modo le variabili interagiscono tra loro, a monte e a valle del processo?

martedì 22 giugno 2010

Innovazione e Involuzione - Manifesto #4

Anche questa volta lo spunto arriva dal blog dall'amico Luca Rinaldi - Post da una demopazzia :

Forzasilvio.it e la privacy...

Luca riprende una "notizia" che dal TG5 del 12 giugno rimbalza per la blogosfera: l'apertura del social network di Silvio Berlusconi: forzasilvio.it. Trascurando le implicazioni politiche, morali, ... volevo concentrarmi su alcuni tratti dell'iniziativa sotto il profilo della comunicazione digitale contemporanea.

Conoscete già le mie idee sul web2.0.

La cosa interessante di forzasilvio.it è l'uso di un format tipicamente anarchico e "2.0" come il social network in una logica di controllo top-down del campo comunicativo. Ovvero: creare sul web un ambiente protetto e controllato per supportare una rete di socializzazione esterna alla sfera politica, ma integrata nella vita quotidiana dei sostenitori del personaggio politico.

La registrazione richiede una quantità considerevole di dati personali (il numero di telefono cellulare è tra i campi obbligatori). Viene da chiedersi: perché? Cosa se ne fanno di tutti questi dati?

Azzardo tre ipotesi:
  1. la raccolta di dati può essere utile ai consulenti politici per studiare l'elettorato, definire con precisione il profilo dell'attivista e confrontare la composizione demografica e la distribuzione geografica degli attivisti sul web con quelle degli attivisti "tradizionali"
  2. i contatti potranno essere riutilizzati in future campagne di marketing diretto orientato a target altamente segmentati
  3. la quantità di dati richiesti serve a selezionare in ingresso gli iscritti al social network
Concentriamoci sull'ultima ipotesi.
L'utente medio è arrivato a percepire le informazioni che lo riguardano come un patrimonio informativo.
  • sa che qualcuno vuole i suoi dati personali
  • sa di avere il diritto a gestirli come preferisce
  • sa che in alcune situazione deve cederli per ottenere qualcosa in cambio (attivare una SIM, sottoscrivere un abbonamento, ...)
Ogni dato in più che chiediamo all'utente
  • aumenta il costo percepito per la "transazione"
  • aumenta il livello di diffidenza ("perché vogliono avere tutte queste informazioni? cosa se ne fanno?")
  • diminuisce l'utilità marginale percepita (il costo percepito e il livello di diffidenza aumentano per ogni informazione aggiuntiva richiesta, ma il valore atteso dalla transazione rimane lo stesso)
I curiosi sono allontanati, i critici intimoriti dalla quantità di informazioni richieste e solo gli utenti motivati completano l'iscrizione. Un perfetto meccanismo auto-selettivo.

Che cosa succede dentro a questa scatola nera?
Quali dinamiche si producono in un ambiente comunicativo controllato?
Queste dinamiche ambientali interagiscono con i discorsi interni al network? Come alterano la costruzione del mondo narrativo?

Gli strumenti del web2.0 sono efficaci anche per scopi diversi dagli ideali dell'Internet-utopia?

venerdì 11 giugno 2010

Web-journalism: dilettanti allo sbaraglio? - Impronta#1

"Il 90% di qualsiasi cosa è spazzatura" - Theodore Sturgeon 

Luca Rinaldi: Attenzione ai falsi allarmismi: l'emendamento D'Alia è abrogato dal pacchetto sicurezza, ma la democrazia rimane in pericolo

  • La produzione su vasta scala di notizie amatoriali mina la qualità dell'informazione grassroots?
  • La Rete, la blogosfera dell'informazione e gli utenti hanno degli anticorpi contro il virus dell'informazione scadente?
  • In Rete circola più cattiva informazione che altrove?
La prima impronta digitale è di Luca Rinaldi: info-blogger ed esperto di informazione.


Sperando di non tediarvi, risponderò in modo "lampo" ai tre importantissimi e intelligenti quesiti posti da Claudio, che ringrazio per avermi citato nella sua prima “impronta digitale”.

Per cominciare credo che a oggi l'informazione tutta riesca benissimo ad, passatemi il termine, "autominarsi". Incompletezza, e faziosità stanno in prima pagina sui giornali, figuriamoci tra le pieghe dell'informazione "dal basso". E' chiaro che anche per quanto riguarda le news "grassroots" ne esistono di ottime, buone e disastrose. Certo, la cattiva informazione, soprattutto quella grassroots, sia amatoriale o meno, è sempre un elemento di cui chi fa correttamente il proprio mestiere farebbe volentieri a meno. Si perde in credibilità e in possibilità evolutive. Senza qualità è difficile anche immaginare un modello economico vincente per l'informazione grassroots non amatoriale.

Ogni utente ha una propria "storia digitale" con anticorpi sviluppati in misura proporzionale alle proprie esperienze. Questo conta ancora di più quando si parla di informazione. Complessivamente credo che il livello degli anticorpi alla cattiva informazione sviluppato dagli utenti sia ancora piuttosto basso. Esempio lampante è proprio questa storia che tu citi del famigerato "emendamento D'Alia", rilanciato, dopo un anno e mezzo dalla sua abrogazione, continuamente sui social network. Il discorso è praticamente analogo per la blogosfera dell'informazione, spesso più incline a "gridare" nello scontro politico e all'autoreferenzialità che ad analizzare in concreto attenendosi ai fatti. I pesci da catturare nella rete sono sempre tantissimi, tant'è che perfino un professionista dell'archivio come Marco Travaglio è caduto nella trappola emendamento D'Alia (salvo poi rettificare meno di 24 ore dopo). Un consiglio spassionato che posso dare agli internauti dell'informazione è quello di puntare su blog con molti riferimenti a documenti ufficiali, soprattutto per quel che riguarda attività legislative e simili.

In rete viaggia tanta cattiva informazione quanta ne viaggia sulla carta. Semplicemente le notizie viaggiano più velocemente di profilo Facebook in profilo Facebook. Una cattiva informazione on-line pregiudica soprattutto il lavoro di coloro che agiscono in modo più analitico e tutto diventa pretesto per dire "l'informazione sul Web non è attendibile". Ci perdiamo tutti, per cui il consiglio che do ai turisti dell'informazione libera è sempre quello di controllare, quando possibile, più fonti possibili. Il Web offre questa grande possibilità, perché non sfruttarla?

Luca Rinaldi - Post da una Demopazzia (http://lucarinaldi.blogspot.com/)

domenica 6 giugno 2010

Facebook, ovvero il gran minestrone - Manifesto #3

Questa storia del web2.0, costruito attorno a me, mi sa sempre più di fuffa.

La "mia" homepage di Facebook, quella che dovrebbe essere fatta su misura per me sulla base della miniera di informazioni personali che ho gentilmente ceduto, mi sembra solo un taglia-incolla delle solite boiate e di annunci pubblicitari sputati lì a caso...

Oggi Facebook ci ha tenuto a informarmi che:
  • a chi piace Giovanni Paolo II piace anche Checco Zalone...
  • in Svezia vivono attraverso motivi colorati alla ricerca del nuovo e dell'inatteso, con tanto di foto di mutande improbabili
  • esiste "roba da biotecnologi", "roba da orientalisti", "roba da designer", "roba da giuristi", "roba da letterati1" (non so chi siano i letterati 2), "roba da chimici", "roba da infermieri", "roba da ingegneri", "roba da geologi", "roba da fashion designer", "roba da psicologi" e pure "roba da spartani", ... (pubblicate al ritmo di circa 1,13 ogni due secondi)
  • l'Olimpo aspetta solo me (non so questo sia un bene o un male)
  • ...
Interessante, no?

    lunedì 31 maggio 2010

    Aiuto! Cerco suggerimenti...

    "E' un mondo difficile..."



    Devo comprare un hard disk nuovo.

    Voi cosa fareste al posto mio?

    venerdì 28 maggio 2010

    La differenza tra Ulisse e Omero? - Manifesto #2

    Risposta di getto: la differenza è che Ulisse è il protagonista dell'Odissea e l'Odissea ha come autore Omero. Insomma il primo è un personaggio e il secondo è il suo autore.

    Risposta dopo due secondi scarsi: ... ok, lo sappiamo fin dalle scuole medie che Omero non è esistito veramente. E se anche è esistito, l'Omero storico non è l'unico autore delle opere che diciamo "di Omero".

    Quindi?



    Mi chiedevo: ma l'autore del mio profilo di Facebook sono io?

    Il mio profilo è mio come l'Odissea è di Omero?

    ... o come l'Odissea è di Ulisse?

    ... o come Omero è dell'Odissea?

    ...

    Chi è l'autore?
    Cos'è un autore?

    martedì 18 maggio 2010

    Mai più bolle! - Manifesto #1(pt.3)

    ... arriviamo alle storie. 
    Il punto.

    Si parla di Storytelling: comunicare attraverso storie. E non è così scontato.
    Lo studio delle strategie di narrazione offre a chi vuole comunicare (ovvero: tutti) potenti strumenti di ingaggio. Strumenti antichi già ai tempi di Omero.

    Abbiamo trovato la nuova pietra filosofale? Mi saprebbe un po' troppo di happy ending...
    Abbiamo per le mani un'ottima idea. Lo Storytelling ci offre una prospettiva diversa sul nostro modo di comunicare. Ma in guardia! Come sempre i fessi sono in agguato, pronti a impadronirsi della novità per esercitare la nobile e antica arte della trasmutazione dell'oro in fuffa.

    Armiamoci di coraggio, prendiamo un buon paracadute e lanciamoci!


    La morale:

    Mai più bolle!
    Mai più balle!

    Solo storie.

    sabato 15 maggio 2010

    Be stupid! - Manifesto #1(pt.2)

    Ok, capito. Promemoria: non fare i fessi.
    Ma cosa ci propone la nuova stagione dei media?

    Sicuri non si può mai essere, ma qualcosa è già nell'aria (oltre ai pollini - sob!).

    Evitiamo i dettagli e andiamo al succo: mettendo in fila marketing virale, emozionale, sensazionale, relazionale, collaborativo, ...







    http://www.diesel.com/be-stupid

    Sarà il marketing narrativo la prossima frontiera?
    Di chi sono le storie?
    Cambierà qualcosa?

    martedì 11 maggio 2010

    Mai più bolle! - Manifesto #1(pt.1)

    E-commerce, web-tv, social network, prosume, Web 2.0...

    Cos'hanno in comune?

    Idee tutto sommato valide, caricate d'idiozia dai molti che ne hanno parlato troppo e male, e le hanno rivendute agli allocchi come alchimisti di corte con l'ultimo portento avicolo per la produzione di uova d'oro massiccio.

    L'entusiasmo nei confronti delle novità è cosa buona e giusta. Ci spinge a esplorare, sperimentare e migliorare. Va bene anche cavalcare un po' le mode: aiuta a trovare slancio.

    Ma le mode sono bugie: hanno le gambe corte.
    A caricarle troppo si finisce tutti gambe all'aria. Senza distinzioni: tanto i tecnoentusiasti quanto gli utenti consapevoli. Meglio non perdersi il buonsenso per strada.

    O si finisce tra quelli che di mestiere trasformano l'oro in fuffa.


    Esagero? Avete avuto a che fare con qualche venditore di fuffa?